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Ortona (CH)
Ortona (CH)
114 “O frati”, dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
117 d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
120 Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
123 Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
126 e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
129 Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ‘l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.
132 Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo,
135 quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.
138 Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.
141 Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso”.
Dante Alighieri. Divina Commedia – Inferno Canto XXVI
Infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso è l’ultimo verso (v.142) del XXVI canto dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri. Descrive l’ultimo atto del folle volo di Ulisse di fronte alla montagna del Purgatorio, così come egli lo descrive a Virgilio e Dante: “… sembra scritto sopra una lapide funeraria”.
Ulisse e i suoi compagni sono giunti in viaggio per mare fin dove la ragione umana ha potuto condurli, ma il Dio che essi non hanno conosciuto non può permettere (… com’altrui piacque, v.141) che essi penetrino nella conoscenza di un mondo che appartiene alla sfera della sua rivelazione. Il naufragio nell’ignoto di quel mare è il segno dei limiti invalicabili della conoscenza soltanto umana.
‘O brothers, who amid a hundred thousand
Perils,’ I said, ‘have come unto the West,
To this so inconsiderable vigil
Which is remaining of your senses still
Be ye unwilling to deny the knowledge,
Following the sun, of the unpeopled world.
Consider ye the seed from which ye sprang;
Ye were not made to live like unto brutes,
But for pursuit of virtue and of knowledge.’120
So eager did I render my companions,
With this brief exhortation, for the voyage,
That then I hardly could have held them back.
And having turned our stern unto the morning,
We of the oars made wings for our mad flight,
Evermore gaining on the larboard side.
Already all the stars of the other pole
The night beheld, and ours so very low
It did not rise above the ocean floor.
Five times rekindled and as many quenched130
Had been the splendour underneath the moon,
Since we had entered into the deep pass,
When there appeared to us a mountain, dim
From distance, and it seemed to me so high
As I had never any one beheld.
Joyful were we, and soon it turned to weeping;
For out of the new land a whirlwind rose,
And smote upon the fore part of the ship.
Three times it made her whirl with all the waters,
At the fourth time it made the stern uplift,140
And the prow downward go, as pleased Another,
Until the sea above us closed again.”