Verso la fine del mondo?

In tutte le critiche che ho avuto sono stati toccati molti aspetti che hanno evidenziato varie prospettive sulla mia arte.

Tutti questi motivi pur evidenti ed inconfondibili sono però parte, tasselli di un mosaico più grande che non è stato mai veramente disvelato.

Un mosaico, un disegno generale che anche io ho avuto difficoltà ad ammettere e riconoscere fino in fondo.

Come se avessi timore di diradare la nebbia che lo proteggeva e comprendere fino in fondo cosa il mio inconscio voleva dirmi.

Ora che ho piena consapevolezza del mio messaggio ripercorro le tappe del mio percorso artistico per capire soprattutto chi sono.

In origine raccoglievo oggetti naturali ed artificiali rotti e frantumati per poi ricomporli in un nuovo progetto compositivo come a ricostruire uno stato passato e oramai perduto.

 

“Conosco Fulvio fin dalla tenera età e ricordo che per calmarlo nelle sue irrequietezze bisognava tenerlo occupato, e di queste occupazioni preferiva quelle delle superfici piane naturali: arenili, pavimenti su cui ai primi incideva con forza segni strani, ai secondi collocare piccoli oggetti da mettere insieme secondo un suo criterio armonico compositivo”.

Pietro Lombardi

 

Un’operazione di rigenerazione della materia che soddisfaceva la mia educazione positivista, concettualmente ordinata datami anche dagli studi di architettura che mi indirizzavano verso il tentativo di mettere ordine al disordine, ricostruire il distrutto, riconcepire spazi ameni.

Era anche un’opera di classificazione delle materie per realizzare un ordine mentale all’interno del caos della vita.

Poi questa materia ho cominciato a modificarla, ricomponendola con forme e posizioni a me più congeniali, prediligendo lamiere metalliche, plastiche bruciate, legni sagomati, filififerro saldati: tutti oggetti in qualche modo ossidati, corrosi e abrasi dal tempo e dalla forte valenza espressiva, simbolo di un deperimento temporale.

Ed è così che hanno parlato di “rinascita” della materia, ma simbolicamente nel senso più generale, per rappresentare la nuova vita di cose destinate ad oggetti di rifiuto.

 

“Contro la morbosità del corpo perfetto, della pelle di plastica, dell’ideologia dell’inespressività, ammiriamo queste opere che ci rinfacciano il passato, esibiscono suture e cicatrici, ci costringono ad accettare lo sforzo della rinascita costante. Perché una volta perduta la nobiltà dell’oggetto, svanito lo scintillio del nuovo e la virtuosità della forma ideale, emerge l’identità della materia. È l’io profondo che sopravvive al mutare del corpo. Ci siamo noi dentro queste opere, con i nostri rifiuti, i disprezzi accumulati, le indecisioni, gli sguardi respinti, le parole perdute, le occasioni mancate. Siamo noi questi frammenti di coscienza organizzati in un nuovo quadro, il panorama della negazione del niente in cui diventiamo, forse per la prima volta, sinceramente belli”.

Alessandra Grandi


C’è quindi il tema della bellezza inteso come elemento con qualità originali, vere, espressive che quindi denunciano il passare del tempo e proprio per questo raccontano di noi, del nostro essere imperfetto e allo stesso tempo magnifico.

Ovviamente il tema dell’inquinamento, del consumismo sfrenato, dell’”uso e getta”, del riciclo è, non solo presente, ma determinante nelle mie opere che raccontano di una via diversa più rispettosa della Natura:

 

“Avanzi che denunciano un’opulenza non necessaria, scarti di lavorazione metallica. Ogni lavoro appare come una singola frase di una partitura nata da un background liquido, opacizzato nella sua trasparenza lattea, solcato da imperfette bollicine vulcaniche, bloccate dalla potenza delle colle chimiche. La fase di fissaggio dei diversi pezzi è il momento più delicato del processo generativo, quando si delineano composizioni e nuance ignote e affascinanti che somigliano al brodo primordiale in cui nuotano le cellule della vita”.

Elena Colombo

 

Il processo creativo da me intrapreso ovviamente non è nuovo, ma si raccorda e si sviluppa a quello di una parte dell’arte a me molto cara qui ben evidenziata:

 

“Ciò richiama l’opera del genovese Claudio Costa, artista internazionale  che sugli elementi di scarto della società (con particolare attenzione per la ruggine cui aveva dedicata, nel ’90, l’intera mostra “Per case di ruggine”) aveva fondato la sua poetica”.

Miriam Cristaldi

 

Detto ciò, come parlare del lavoro di un artista come Fulvio Biancatelli che sembra impegnato in una ricerca complessa e difficile sul senso della propria realtà creativa. Forse dobbiamo cercare di capire come si svolge l’Arte oggi, ciò soprattutto per districarsi tra i vari atteggiamenti e i molteplici approcci degli artisti alla realtà del loro lavoro. Soffermiamoci su tre fenomeni che attraversano tutta l’arte contemporanea:

 

Il primo, il fenomeno del Riciclo, che da tempo, attraversa tutta l’Arte Contemporanea.

Ready made, l’oggetto già fatto, seriale, è trasformato in opera d’arte solo perché l’artista lo considera tale e non perché da lui creato.

Il contesto fa la differenza, è la cornice spaziale con i suoi significati che lo connota in modo nuovo e che lo rende artistico.

Un secondo fenomeno è quello lega l’arte all’impegno politico, che pensa che: “L’opera d’arte è sempre un atto politico, ed è impossibile dividere l’arte dalla politica”.

Non si tratta, certo, di parlare di politica nei termini più usuali e consuetudinarî, ma è indubbio che sia un “atto politico”, specifica ancora Hyde, “creare un’immagine del sé o del collettivo”.

Un terzo fenomeno è quello della Mediaticità.

All’omologazione sociale contri­buiscono in modo esponenziale i mezzi di comunicazione che la tecnica ha potenziato modificando il nostro modo di fare espe­rienza: non più in contatto con il mondo, ma con la rappresen­tazione mediatica del mondo che rende vicino il lontano, pre­sente l’assente, disponibile quello che altrimenti sarebbe indi­sponibile.

Massimo Fazzino

 

“Dal punto di vista storico, non si tratta di esperienze vergini; alla base c’è naturalmente, la poetica duchampiana dell’object trouvè, convertitasi poi, attraverso artisti che hanno maggiormente concentrato il discorso sulla materia (Schwitters, Burri, Rauschemberg, Kienholz; Spoerri, Arman, per dirne alcuni) in Junk Art, fino alle più recenti declinazioni ecologiste. Ma al di là delle etichette, l’approccio schiettamente fisico di Biancatelli con il Junk, più in evidente empatia con le riflessioni civilmente impegnate, rivendica una sua legittima originalità”.

Vittorio Sgarbi

 

Inoltre l’utilizzo prevalente di fasce verticali, sia di lamiera che di filodiferro o legno mi hanno sempre rimandato l’idea che la composizione complessiva rimanda ad un diagramma musicale, o meglio ad un sismogramma realizzato dal sismografo nella lettura di un terremoto, con pieni e vuoti, con ritmi ampi o stretti, concitati o distesi, compulsivi o rilassati, dove le grappe rappresentano tutto quello che si riporta nella fase successiva allo stretching comando utilizzato in programmi di disegno tecnico.

 

“All’interno di queste composizioni, l’ordine è disgregato dal caos, mentre l’apparente purezza si trova a fronteggiare buchi frastagliati e linee inframmezzate. Pure si percepisce una forza poderosa all’interno di ogni rappresentazione, una luce interiore che trascende ogni discordia apparente”.

Agora Gallery


E qui arriviamo al nocciolo, all’intimo elemento che raccoglie tutta la mia ricerca: l’idea che stiamo andando verso la catastrofe, che la fase distruttiva della nostra presenza sulla terra è già cominciata e l’estinzione dell’uomo è oramai nel destino del pianeta.

Considerazioni date da come l’uomo sfrutta il pianeta, lo violenta, lo impoverisce, dallo sviluppo demografico incontrollato e incontrollabile, dal suo menefreghismo esagerato sulla salvaguardia della natura, degli animali, dell’incontrollato aumento dell’inquinamento, dell’avvelenamento costante di aria, acqua e terra, dai conflitti militari che hanno massacrato e continuano a farlo fra popoli ed etnie, culture e religioni, differenze culturali e tecnologiche, di genere ed orientamento sessuale.

Un buco nero che sembra non aver fondo e di cui siamo responsabili.

E il mio bruciare il polistirolo espanso, segare il ferro ossidato, “grappare” con cesure i vuoti, imprigionare con la colla materie alla deriva, cucire con filodiferro strappi metallici, è solo un esorcismo simbolico della paura del divenire.

In questo contesto la mia arte racconta il caos, la catastrofe, l’abisso delle nostre anime e dei nostri corpi, del nostro mondo e di tutto quello di buono che abbiamo costruito.

 

“Talvolta queste “reliquie” della modernità, sull’orlo di una sparizione in favore del nuovo “immateriale” tecnologico che avanza a velocità accelerata – realtà che il filosofo francese Paul Virilio non cessa di definire come: “…una situazione in cui la specie è a fine corsa poiché non è più in grado di adattarsi abbastanza velocemente a delle condizioni che mutano più rapidamente che mai”.

Miriam Cristaldi


E se c’è una speranza è ben descritta:

 

“Come le creazioni di Biancatelli nascono dagli scarti, dalle macerie di ciò che sopravvive mutando, così le città (o le civiltà) distrutte riemergono affrante da se stesse. Da ciò che resta parte la salvezza dell’essenziale, la selezione primitiva di ciò che ha un senso fuori di sé, una nuova estetica del sottosuolo, dove il bello è un corpo ferito, consumato. E nulla è mai, completamente, perduto”.

Alessandra Grandi 

 

 

Towards the end of the world?

 

In all the criticisms that I have had, many aspects which have highlighted various perspectives on my art have been touched upon.

All these reasons, albeit clear and unmistakable, are however part, pieces of a larger mosaic that has never really been revealed.

A mosaic, a general pattern that I too have had difficulty in admitting and fully recognizing.

As if I were afraid of clearing the fog that protected it and fully understand what my unconscious wanted to tell me.

Now that I am fully aware of my message, I retrace the steps of my artistic path to understand, above all, who I am.

Originally, I collected broken and shattered natural and artificial objects in order to reassemble them in a new compositional project as if to reconstruct a past and now last state.

 

“I have known Fulvio from an early age and I remember that to calm him in his restlessness it was necessary to keep him busy and of these activities he preferred those of natural flat surfaces: sandy shores, floors on which to the first ones he strongly engraved strange signs, to the second ones he placed small objects to be put together according to his own harmonious compositional criteria”

Pietro Lombardi

 

An operation of regeneration of the material that satisfied my positivist and conceptually tidy education that it was also given to me by the architectural studies that directed me towards the attempt to put order in the disorder, rebuild the destroyed, reconstruct pleasant spaces.

It was also a work of classification of materials to create a mental order within the chaos of life.

Then I began to modify this material, recomposing it with shapes and positions more congenial to me, preferring metal sheets, burnt plastics, shaped woods, welded wire: all objects considered in some way oxidized, corroded and worn away by time and with a strong expressive value, a symbol of a decay over time.

And this i show they spoke about the “rebirth” of material, but symbolically in the most general sense, to represent the new life of things destined for waste objects.

 

“Against the morbidity of the perfect body, of the plastic skin, of the ideology of inexpressiveness, we admire these artworks that blame us for the past, display sutures and scars, force us to accept the effort of constant rebirth. Because once the nobility of the object has been lost, the sparkle of the new and the virtuosity of the ideal form have vanished, the identity of the material emerges. It is the profound self that survives the changing of the body. Here we are inside these artworks, with our refusals, the accumulated contempt, the indecisions, the rejected looks, the lost words, the missed opportunities. We are these fragments of consciousness organized in a new framework, the panorama of the denial of nothing in which we become, perhaps for the first time, truly beautiful”.

Alessandra Grandi

 

Therefore, there is the theme of beauty intended as an element with true, expressive, original qualities, that accordingly denounce the passage of time and just for this reason they tell about us, about our imperfect and at the same time magnificent being.

Obviously, the theme dealing with pollution, unbridled consumerism, 2use and throw away”, recycling is, not only present, but crucial in my works that tell us about a different way, more respectful of Nature

 

“Leftovers that denounce an unnecessary opulence, metal processing waste. Each work appears as a single sentence in a score born from a liquid background, opacified in its milky transparency, furrowed by imperfect volcanic bubbles, blocked by the power of chemical glues. The fixing phase of the different pieces is the most delicate moment of the generative process, when compositions and unknown, fascinating nuances are outlined, looking like the primordial soup in which the cells of life swim”

Elena Colombo

 

The creative process I have undertaken is obviously not new, but it is linked and developed with that of a part of art very dear to me, which is well highlighted here:

 

“This recalls the artwork of the Genoese Claudio Costa, an international artist who based his poetics on the waste elements of society (with particular attention to the rust to which he had dedicated, in the 1990s, the entire exhibition “For rust houses”).”

Miriam Cristaldi

 

Having said that, we can talk about the work of an artist like Fulvio Biancatelli who seems to be engaged in a complex and difficult research on the meaning of his own creative reality. Perhaps we need to try to understand how art works today, especially to extricate ourselves from the various attitudes and multiple approaches of artists to the reality of their work. Let us focus our attention on three phenomena that run through all contemporary art:

 

The first, the phenomenon of recycling that has been going through all of contemporary art for some time.

Ready-made, the already made, serial item is transformed into a work of art only because the artist considers it that way and not because it was created by him.

The context makes the difference, it is the spatial frame with its meanings that connotes it in a new way and that makes it artistic.

A second phenomenon is the one that links art to political commitment, which thinks that: “The work of art is always a political act, and it is impossible to divide art from politics”

It is certainly not a question of talking about politics in the most usual and customary terms, but there is no doubt that it is a “political act”, specifies Hyde, “creating an image of the sef or the collective”.

A third phenomenon is that of mediaticity

The means of communication that technology has enhanced by modifying our way to experience contribute exponentially to social homologation: no longer in contact with the world, but with the media representation of the world that makes the distant near, present the absent, available what otherwise would be unavailable.

Massimo Fazzino

 

“From the historical point of view, it is not about virgin experiences; at the base there is certainly the Duchampian poetics of the object trouvé , which later converted into Junk Art, thanks to artists who have more concentrated the conversation on the material (Schwitters, Burri, Rauschemberg, Kineholz,, Spoerri, Arman, to mention a few), up to the most recent ecological variations. But beyond the labels, Biancatelli’s purely physical approach to the Junk, more in evident empathy with civilly committed reflections, claims its legitimate originality.”

Vittorio Sgarbi

 

In addition, the prevalent use of vertical bands, either of sheet metal or wire or wood, has always led me back to the idea that the overall composition refers to a musical diagram, or better a seismogram made by the seismograph in the reading of an earthquake, with full and empty, with wide or narrow rhythms, excited or quiet, compulsive or relaxed, where connecting metal clips represent everything that is reported in phase following the stretching, a command used in technical drawing programs.

 

“Within these compositions, order is disrupted by chaos, while the apparent purity faces jagged holes and interspersed lines. Moreover, a powerful force is perceived within each representation, an inner light that transcends any apparent discord”.

Agorà Gallery

 

And here we come to the core, to the intimate element that collects all my research: the idea that we are heading towards catastrophe, that the destructive phase of our presence on earth has already begun and the extinction of man is by now in the planet’s destiny.

Considerations given by how man exploits the planet, rapes it, impoverishes it, by uncontrolled and uncontrollable demographic development, by his exaggerated indifference on the protection of nature, animals, the uncontrolled increase in pollution, the constant poisoning of the air, water and land, from the military conflicts that have massacred and continue to do so between people and ethnic groups, cultures and religions, cultural and technological differences, gender and sexual orientation.

A black hole that seems bottomless and for which we are responsible.

And my burning the expanded polystyrene, sawing the oxidized iron, “staple” the voids with caesuras, imprisoning materials adrift with glue, sewing metal tears with iron wire, is only a symbolic exorcism of the fear of becoming.

In this context, my art tells the chaos, the catastrophe, the abyss of our souls and our bodies, of our world and of all the good things we have built.

 

“Sometimes these “relics” of modernity, on the verge of disappearance in favor of the new technological “immaterial” that advances at an accelerated speed – a reality that the French philosopher Paul Virilio never ceases to define as: “… a situation in which the species is at the end of its game as it is no longer able to adapt fast enough to conditions that are changing faster than ever before”.

Miriam Cristaldi

 

And if there is a hope, it is well described:

 

“Just as Biancatelli’s creations are born from scraps, from the rubble of what survives by changing, so the destroyed cities (or civilizations) re-emerge disheartened by themselves. From what remains, the salvation of the essential begins, the primitive selection of what makes sense outside itself, a new aesthetic of the subsoil, where the beauty is a wounded, worn out body. And nothing is ever completely lost”.

Alessandra Grandi